Questione Di Cervello

sulle differenze di genere

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    Lupus in fabula

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    Nota: una particolarità riscontrabile in tutti i libri che intendano trattare in maniera obbiettiva e più o meno scientifica delle differenze tra i sessi, sono le scuse. Ovvero gli autori non mancano mai, e lo fanno ad inizio libro e poi a più riprese, di scusarsi con il femminismo per le loro scoperte. Tantè, un tempo ci si scusava con la Chiesa. Va anche aggiunto che, ragionevolmente, il libro potrebbe essere tradotto in paesi in cui l'integralismo religioso relega ancora la donna a ruoli oggettivamente poco sostenibili, in ragione della loro minore forza fisica. E gli autori temono forse una potenziale strumentalizzazione delle loro tesi. Sarà forse solo per questo ? Io credo di no.

    -Questione di cervello-
    Interessante libro scritto da Simon Baron-Cohen "...un brillante psicologo-ricercatore" (S. Pincher- direttore Centro neuroscienze del MIT) . Sottotitolo: La differenza essenziale tra uomini e donne. - 2003

    (Alcuni libri dell'autore -qui- )

    La tesi centrale del libro è che il cervello femminile è programmato per l'empatia, il cervello maschile è programmato per la comprensione ed elaborazione di sistemi.
    Egli sostiene che tale differenza affonda le sue radici in tempi lontanissimi e non è altresì -come sostiene il femminismo- da imputarsi a condizionamenti culturali o ad esperienze soggettive dei singoli individui, e porta studi e ricerche a suffragio di tali ipotesi (non saranno mai abbastanza).
    Il cervello femminile, quindi, sarebbe stato modellato dalla natura per essere mediamente più empatico, quello maschile per essere mediamente più sistemico.
    Cosa si intende per empatia e sistemizzazione?

    L'empatia è la capacità di riconoscere i pensieri e le emozioni degli altri e di reagire con sentimenti consoni. A differenza della "lettura della mente", che è un calcolo a freddo di cosa l'altro pensi o senta, l'empatia è una reazione affettiva alle emozioni dell'altro che consente di capirlo, di prevedere il suo comportamento, di sintonizzarsi sulla sua lunghezza d'onda.
    Vediamo che Jane è addolorata, ma restiamo freddi, sereni o insofferenti. Non c'è empatia. Vediamo Jane addolorata, e proviamo dispiacere, immediata partecipazione, desiderio di starle accanto per confortarla. Questa è empatia.

    La sistemizzazione è la tendenza ad analizzare, vagliare ed elaborare sistemi. Chi sistemizza capisce in maniera intuitiva il funzionamento delle cose e deduce le regole fondamentali di un sistema per poter comprendere e predire il suo comportamento o per inventare un nuovo sistema.
    Vi sono sistemi d'ogni tipo: da uno stagno ad un veicolo, da una pianta ad un catalogo di biblioteca...
    ...tutti funzionano in base ad "input" e "output" , utilizzando regole correlazionali del tipo "se...allora".

    Ovvero dati-in-ingresso, dati-in-uscita.
    L'esempio semplicissimo è quello del regolatore di luce e della lampadina, ove si intende per "input" la luce stessa (ovvero l'oggetto del nostro interesse ). Girando l'interruttore-regolatore in senso orario o antiorario si avrà un effetto (output) che sarà la maggiore/minore intensità della luce. Avremo così compreso il funzionamento di un sistema.

    Come l'empatia è in grado di gestire le centinaia di emozioni umane, così la sistemizzazione è in grado di gestire un numero enorme di sistemi


    L'autore, per comodità espositive, usa i termini " tipo psicologico S " e " tipo psicologico E ", dove S sta per Sistemico ed E sta per Empatico. Ma una cosa importante che il ricercatore ci fa rilevare è che nella realtà dei fatti sarà ovviamente impossibile trovare tipi esclusivamente S e tipi esclusivamente E.
    Le estremizzazioni in tal senso, infatti, indicheranno una patologia.
    Il tipo psicologico, inoltre, non è determinato dal sesso (...non è vero che F sarà necessariamente empatica e M sarà necessariamente sistematico) ma dal sesso è fortemente influenzato.
    [...] " io mi limito a formulare l'ipotesi che i soggetti dotati di un cervello di tipo S siano più spesso uomini che donne e i soggetti con un cervello di tipo E più spesso donne che uomini."

    Immaginiamo una curva a campana (tipo curva di Gauss),
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    immaginiamo la tipologia E (empatica) a sinistra e quella S (sistemica) a destra, immaginiamo inoltre che sotto la campana sia compresa la popolazione nel suo complesso, M o F che sia.
    Le donne tenderanno ad ammassarsi nella metà sinistra della curva (E)mentre gli uomini tenderanno ad ammassarsi nella metà destra (S).
    Non sarà raro, viceversa, trovare donne nella metà destra e uomini nella metà sinistra, ma non sarà la regola.
    Al centro della curva si collocheranno le tipologie (più fortunate? Chissà.) dotate di equilibrio in tal senso, cioè con circa eguali caratteristiche empatia/sistemizzazione.

    Le tipologie che presenteranno un "cervello estremo",( esageratamente E oppure S) , secondo B. Cohen sarebbero portatrici di patologie e questo spiegherebbe l'autismo (estremizzazione della capacità di sistemizzare) e l'isteria e la paranoia (estremizzazione dell'empatia)

    Libro molto interessante ed istruttivo, 300 pagine facili da leggere.


    ------------------------------------
    Simon Baron Cohen
    Questione di cervello. La differenza essenziale tra uomini e donne
    Mondadori editore

    Edited by Reduan - 7/3/2005, 10:19
     
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  2. lelen
     
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    Red, perché continui ( ma forse dovrei dire continuate) ad affermare che le femministe sostengono la tesi dell'uguaglianza?
    Mai sentito parlare del Femminismo della differenza? O del Femminismo post moderno? O del Femminsmo individualista? Eppure ogni tanto se ne é accennato anche in questo forum.
    Mi sembra che aldilà del voler rivendicare una giusta considerazione per il genere maschile (anche tramite tesi per certi versi brillanti) ci sia il continuo tentativo di dimostrare come le donne siano distruttive. È proprio necessario che un genere per affermare i propri diritti debba denigrare l'altro?

    Detto questo personalmente ho sposato la teoria che vede le femmine più empatiche (ricettive) e i maschi più sistemici.
    E non ci trovo nulla di male, anzi proprio qui sta il bello!
    Va anche detto che come sempre la verità sta nel mezzo.
    Dunque : la natura ci ha fornito di determinate caratteristiche, che poi possono essere potenziate o meno dal tipo di educazione e di ambiente in cui cresciamo.
    Non dimentichiamoci poi delle differenze individuali, che rendono tutto il discorso ancora più complesso ( semmai ce ne fosse bisogno...)
     
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  3. Barnart
     
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    QUOTE (Reduan @ 6/3/2005, 12:55)
    1- ...gli autori non mancano mai, e lo fanno ad inizio libro e poi a più riprese, di scusarsi con il femminismo per le loro scoperte.


    2- [i]L'empatia è la capacità di riconoscere i pensieri e le emozioni degli altri e di reagire con sentimenti consoni.

    3- ...l'empatia è una reazione affettiva alle emozioni dell'altro che consente di capirlo, di prevedere il suo comportamento, di sintonizzarsi sulla sua lunghezza d'onda.

    4- ... Vediamo Jane addolorata, e proviamo dispiacere, immediata partecipazione, desiderio di starle accanto per confortarla. Questa è empatia.



    1- Osservazione corretta. Il fatto è universale ed ha un chiarissimo significato: esso dice che quelli di U3 hanno ragione.

    2- Questa capacità è da sempre attribuita alle donne in modo specifico. Il femminismo (falso e sleale in ogni cosa) lo nega (come invenzione maschilista) e lo rivendica (come qualità superiore inarrivabile per gli uomini, fondamento di questo e di quello etc etc.). Sul tema ho molto da dire ma lo dirò in futuro.

    3- Se questo è vero, allora l'empatia consente di fare tanto il bene quanto il male dell'altro. Se esiste è un potere che può venir usato al pari di tutti gli altri poteri, ossia - in generale - a proprio vantaggio e contro gli altri. Per i propri interessi contro quelli altrui. E perché mai questo potere dovrebbe fare eccezione?
    Perché mai, nel conflitto dei sessi, non dovrebbe venir usato? Cioè usato contro gli uomini? Se quel potere esiste ed è in mani femminilii è chiaro che mai come oggi deve venir usato contro gli uomini. Mettersi in sintonia con l'altro significa anzitutto sapere come usarne i bisogni ai nostri fini.
    E infatti la manipolazione dei maschi è uno dei delitti tipici femminili (da sempre impunito, si capisce). Sapere cosa faccia più male all'altro significa soprattutto sapere come fargli del male di più e meglio.

    4- Se si parte dal presupposto che i maschi sono cattivi e le femmine buone allora il discorso è quello citato. Se invece si parte dal presupposto che anche le femmine sono cattive e che inoltre il femmismo alimenta e coltiva l'odio contro gli uomini, il rancore ed il diritto universale alla rivalsa, allora le cose saranno molto diverse e l'empatia diventa il canale attraverso cui, lungi dal soffrire del male altrui, si può godere del male del nemico. Il maschio.
    Se in questo mondo esiste la vendetta, allora più si è empatici e più si può godere dei suoi frutti: il male del nemico.

    E' stato detto, ad es.: " I maschi hanno incominciato a vivere nella paura. Questa è una consolazione per le donne perché le ristora dei mali subiti."

    Sarebbe bello se le cose non fossero così perché questa visione è davvero amara. Ma se è amara è probabille che sia corretta.

    Da quando sento parlare di empatia non ho mai notato che alcuno abbia posto in rilievo il fatto che questa "superiore sensibilità" può essere usata tanto per il bene quanto per il male.

    Ad esempio: la vedete voi usata dalle donne ai fini del bene degli uomini?
    E perché usarla a favore dell'oppressore?


    Rino

    Edited by Barnart - 7/3/2005, 12:23
     
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    Lupus in fabula

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    Rino, sono d'accordo pressochè su tutto quello che hai scritto.

    Se è vero il discorso empatia-sistemizzazione, e io penso che sia vero,
    questo apre una serie quasi infinita di capitoli; siamo di fronte in realtà "semplicemente" a due diversi strumenti per capire ed interpretare la realtà circostante. Secondo tale teoria l'uno utilizzerà maggiormente la logica deduttiva, l'altra utilizzerà di più le sue doti di immedesimazione, poi il come ognuno utilizzerà i propri strumenti è altro capitolo.

    In effetti il punto 4, che tu citi, è forse un pò fuorviante.


    CITAZIONE
    2- L'empatia è la capacità di riconoscere i pensieri e le emozioni degli altri e di reagire con sentimenti consoni.


    Come giustamente facevi notare in un altro post, tempo addietro, pensiamo un attimo ai vari documentari, t. show, etc, che descrivono la vita della donna nelle tribù africane, oppure le donne violentate durante i conflitti (lasciamo stare, ovviamente gli uomini torturati e uccisi, quelli non esistono), - recentemente hanno scoperto (!) che le emozioni influenzano le decisioni, ebbene, chi si emozionerà di più nel vedere tali programmi in cui l'uomo è invariabilmente descritto come torturatore della donna ?

    CITAZIONE
    4- ... Vediamo Jane addolorata, e proviamo dispiacere, immediata partecipazione, desiderio di starle accanto per confortarla. Questa è empatia.

    Ok, ma immaginiamo che al posto di Jane ci sia un "John", e immaginiamo la donna empatica che ha visto uno dei documentari di cui sopra.
    Mi domando come utilizzerà le sue doti di empatia.
     
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  5. lelen
     
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    Ovviamnte Red, si prova più empatia per i propri simili. Più ana perosona ci é vicico e più proveremo ci immedesimeremo.
    Allo stesso modo, per ogni italiano che muore se ne parla per giorni. Ma dei milioni di africani che crepano chissenefrega?
    Logica terribile eppure in parte giustificata dall'istinto di sopravvivenza.

    Edited by lelen - 7/3/2005, 15:14
     
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  6. *Goblin*
     
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    E' indubbio che fra i due sessi esista una intrinseca diversità ma è pure vero che per quanto riguarda l'empatia le radici di queste differenze emozionali sono da rintracciare soprattutto nell'infanzia.
    Maschi e femmine ricevono insegnamenti molto diversi sul come gestire le emozioni.
    Con la sola eccezione della collera, in genere i genitori discutono le emozioni più con le figlie che con i figli: infatti esse sono esposte a un maggior numero di informazioni rispetto ai maschi.
    Quando i genitori inventano delle storie da raccontare ai propri bambini in età prescolare, usano un maggior numero di parole riferite alle emozioni quando parlano alle figlie che non quando si rivolgono ai figli; quando le madri giocano con i loro bambini molto piccoli, mostrano una gamma di emozioni più ampia alle femmine che non ai maschi; se parlano di sentimenti con le figlie, discutono più dettagliatamente gli stati emozionali di quando lo fanno con i figli maschi, sebbene con questi ultimi scendano in maggiori dettagli sulle cause e le conseguenze (forse con intenti preventivi).
    Diversi esperti hanno condotto ricerche proprio per comprendere l'origine, le cause delle differenze emozionali dei due sessi; essi ipotizzano che nelle bambine, lo sviluppo più precoce del linguaggio, le porti ad essere più esperte dei maschi nell'articolare i propri sentimenti e più abili nell'uso di parole che esplorano e sostituiscono reazioni emotive quali ad esempio gli scontri fisici; d'altra parte, essi osservano, "i bambini di sesso maschile, nei quali la verbalizzazione degli affetti è de-enfatizzata, possono diventare in larga misura inconsapevoli degli stati emozionali propri e altrui".
    All'età di dieci anni, nei due sessi c'è all'incirca la stessa percentuale di soggetti apertamente aggressivi e inclini al confronto diretto sotto l'impulso della collera.
    Ma a tredici anni, ecco emergere una significativa differenza: le femmine diventano più inclini a tattiche aggressive scaltre come l'ostracismo, il pettegolezzo maligno e le vendette indirette.
    Quando sono irritati, i maschi, in linea di massima, continuano a confrontarsi direttamente come prima, del tutto ignari di queste strategie più subdole.
    Questo è solo uno dei molti aspetti nei quali i bambini - e più tardi gli uomini - sono (in genere, non sempre, ovviamente) meno sofisticati delle loro controparti femminili per quanto riguarda i recessi della vita emotiva.
    Quando le femmine giocano insieme, lo fanno in piccoli gruppi in cui regna l'intimità, e dove si cerca attivamente di ridurre al minimo l'ostilità e di massimizzare la cooperazione; i giochi dei maschi, invece, si svolgono in gruppi più numerosi, nei quali viene dato il massimo risalto alla competizione.
    Una differenza chiave fra i due sessi emerge quando i giochi in corso sono interrotti perché qualcuno si fa male. Quando l'incidente capita a un maschio, e l'infortunato si mette a piangere, gli altri si aspettano da lui che esca dall'azione e smetta di lamentarsi, in modo che il gioco possa proseguire.
    Se la stessa cosa accade in un gruppo di bambine, il gioco si ferma e tutte si raccolgono intorno all'amica che piange per aiutarla. Questa differenza a livello di gioco fra bambini e bambine incarna quello che, secondo Carol Gilligan, di Harvard, è una differenza fondamentale fra i due sessi: i maschi vanno orgogliosi di un'indipendenza e un'autonomia tipica del tipo duro e solitario, mentre le femmine si interpretano come elementi di una rete di connessioni.
    Pertanto, i bambini si sentono minacciati da qualunque cosa possa mettere in discussione la loro indipendenza, mentre le bambine lo sono di più da una rottura nelle loro relazioni interpersonali.
    Queste diverse aspettative indicano come uomini e donne vogliano, e si aspettino, cose molto diverse da una conversazione: i primi sono contenti se possono parlare di "fatti", le donne cercano invece nessi emozionali.
    In breve, queste differenze nell'educazione delle emozioni finisce per alimentare capacità molto diverse: le femmine diventano "brave a leggere segnali emozionali verbali e non verbali, come pure a esprimere e a comunicare i propri sentimenti", mentre i maschi imparano a "minimizzare le emozioni che hanno a che fare con la vulnerabilità, il senso di colpa, la paura e il risentimento".
    Ad esempio, centinaia di studi hanno riscontrato che in media le donne sono più empatiche degli uomini, almeno per quanto riguarda la capacità di leggere i sentimenti altrui dall'espressione facciale, dal tono di voce o da altri indizi non verbali. Analogamente, in genere è più facile leggere i sentimenti sul volto di una donna che non su quello di un uomo.
    Fra bambini e bambine molto piccoli non c'è alcuna differenza nell'espressività del volto; ma negli anni della scuola elementare i maschi diventano sempre meno espressivi, e le femmine sempre di più.
    Questo può in parte riflettere un'altra differenza fondamentale: le donne, in media, sperimentano tutta la gamma delle emozioni con una maggiore intensità e transitorietà degli uomini.
    In questo senso, le donne sono più emotive.

    Edited by *Goblin* - 31/3/2005, 19:30
     
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    Lupus in fabula

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    CITAZIONE (lelen @ 7/3/2005, 15:14)
    Ovviamnte Red, si prova più empatia per i propri simili. Più ana perosona ci é vicico e più proveremo ci immedesimeremo.
    Allo stesso modo, per ogni  italiano che muore se ne parla per giorni. Ma dei milioni di africani che crepano chissenefrega?
    Logica terribile eppure in parte giustificata dall'istinto di sopravvivenza.

    Credo che non abbia capito bene quello che intendevo. (colpa mia, forse.)

    Ma se tu guardi (1° caso) uno di quei servizi televisivi in cui si mostrano le donne sofferenti nelle tribù africane (si fa per dire, potrebbero pure essere del nord della cina), ti dicono ovviamente che la colpa è dell'uomo, ti immedesimi in quelle donne, provi empatia, ed avrai una reazione emotiva. Poi ti capita (2° caso) di incontrare un uomo che mostra segni di sofferenza. La tua capacità di immedesimazione resterà più o meno la stessa, ma quale sarà la tua reazione emotiva ?

    Allora, provo ad "azzardare" : nel primo caso proverai un senso forte di pena verso quelle donne, indignazione ed un certo odio verso gli uomini.

    Nel secondo proverai ancora qualche emozione, capirai bene cosa prova l'uomo sofferente, ma, -è una legge psicologica- l'emozione più forte spazza sempre via quella più debole, e inconsciamente ti tornerà alla mente la vicenda delle donne maltrattate, e l'odio verso l'uomo. Quindi non proverai pena verso l'uomo sofferente, pur comprendendo nei dettagli quello che prova.

    Quello che è interessante notare è che, secondo la logica, dovrebbe essere la seconda emozione (del 2° caso) quella a prevalere, perchè ci riguarda da vicino e ne siamo certi, sta sotto i nostri occhi; invece quella che prevale è l'emozione più forte, (quella del primo caso) anche se non ci riguarda direttamente, anzi, è lontanissima da noi.
    Tra l'altro è proprio in questo modo che i media, la tv specialmente, ma non solo, ci condizionano.

    Discorso forse un pò complesso, ma secondo me fila alla perfezione. Potrei sbagliarmi.

    Edited by Reduan - 7/3/2005, 23:26
     
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    Lupus in fabula

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    CITAZIONE (*Goblin* @ 7/3/2005, 19:47)
    E' indubbio che fra i due sessi esista una intrinseca diversità ma è pure vero che per quanto riguarda l'empatia le radici di queste differenze emozionali sono da rintracciare soprattutto nell'infanzia.

    E' proprio su questo punto che l'autore del libro spende molte energie e pagine.
    Se questa tesi fosse vera, infatti, cadrebbe l'ipotesi centrale e il senso stesso del libro.
    Per i dettagli dovrei riconsultare nuovamente il testo, comunque B. Cohen impiega molte energie proprio per provare che non è così.
    Egli si dilunga a spiegare la differenza tra un sistema e un possibile oggetto di empatia.
    I sistemi motori (oggetti in movimento) fanno parte, appunto, dei sistemi, in cui l'uomo si dimostra più ferrato.
    Il pendolo è uno dei sistemi motori più semplici ed elementari, mentre un viso umano è un classico semplice "oggetto" di empatia.
    Quindi cita, tra l'altro, un esperimento "molto noto" (tra l'altro verificabile da chiunque) in cui una persona si china sulla culla di diversi neonati M. o F. facendo oscillare un pendolo.
    I neonati maschi (anche di pochi giorni) tenderanno a fissare il pendolo, i neonati femmine cercheranno con gli occhi il viso umano.
    Ora, si potrebbe ipotizzare (per far contente a tutti i costi le femministe) che i condizionamenti culturali inizino da prima della nascita, ma a dire il vero mi sembrerebbe un pò forzata, la cosa.

    Esistono inoltre numerosi eperimenti che provano che le influenze culturali, per quanto riguarda il discorso M/f , pur se innegabili, sono molto meno determinanti di quanto ci è stato dato ad intendere dalla società femminista in cui viviamo. (*)


    Silverback ha postato diverse volte uno di questi esperimenti, purtroppo non l'ho salvato su hdd.
    ---
    Per il resto del tuo post direi che non c'è nulla, a parte il tono politically correct (cioè femminista) che contraddica la tesi del libro.
    (nb. non sto dando del femminista a te, ma a chi lo ha scritto, evidentemente.)
    E del tutto naturale che a 13-14 anni risaltino di più le differenze tra m e f, anche perchè più o meno a quell'eta inizia la pubertà, con una maggior produzione di testosterone da parte maschile e relativa progressione dei caratteri sessuali nelle femmine.
    ---------

    (*) A me sembra evidente che si è voluto appiattire tutto su uno stesso piano, rendere uguali ciò che per natura non lo è, ed è evidente. Si è fatto questo ben conoscendo, a mio avviso, quello che avrebbe comportato, quello che anche le leggi fisiche ci dicono chiaramente. Sicuramente non si è voluta la felicità di maschi e femmine. Secondo me.
    ---------

    Ciao

     
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  9. silverback
     
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    Purtroppo in mezzo a questo "casino" di libri e riviste che ho in casa non sono riuscito a ritrovare un vecchio numero di LE SCIENZE, dove un altro esperto in materia, esponeva delle tesi molto simili a quelle di Cohen.
    Comunque, già che ci sono consiglio alcune letture:
    J.-P. Changeux, L'uomo neuronale, Feltrinelli, 1990.
    Mente e cervello, numero speciale di "Le Scienze", n. 291, novembre 1992.
    Joseph E. LeDoux, Emozioni, memoria e cervello, in "Le Scienze", n. 312, agosto 1994.
    Marcus E. Raichle, La visualizzazione dell'attività cerebrale, in "Le Scienze" n. 310, giugno 1994.
    Michael Cazzaniga, Funzioni divise per gli emisferi cerebrali, in "Le Scienze", n. 361, settembre 1998.
    Robert J. Sternberg, Teorie dell'intelligenza, Bompiani, 1987.
    Horward Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza, Feltrinelli, 1991.
    Horward Gardner, Intelligenze creative, Feltrinelli, 1994.
    Floyd E. Bloom, Arlyne Lazerson, Il cervello, la mente e il comportamento, Ciba Edizioni, 1990.
    Daniel C. Dennet, La mente e le menti, Sansoni, 1997.
     
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  10. silverback
     
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    http://www.forumfree.net/?t=780616&st=15
     
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  11. silverback
     
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    Appurato che le Naturali Differenze di Genere esistono (con buona pace delle femministe), colgo l'occasione per riportare un articolo di Edoardo Boncinelli pubblicato su LE SCIENZE dossier nella primavera del 1999.
    ________________________________________________________________________

    Le molte facce dell'intelligenza

    Tutti sanno che cos'è l'intelligenza, e tutti la sanno distinguere.
    Una persona intelligente è quella che vede cose che altri non vedono
    o che le vede più prontamente. L'intelligenza è anche una delle doti
    più ambite e all'occorrenza più vantate. Nonostante tutto questo, nessuno
    finora è riuscito a darne una definizione rigorosa né a fornire un criterio
    per misurarla che sia accettato da tutti. Essa rappresenta ancor oggi
    un argomento di studio e l'oggetto di un'intensa attività speculativa non
    di rado ideologizzata e convulsa.
    Mi sembra necessario chiarire alcuni punti.


    Terminologia. L'italiano "intelligenza" non è in tutto e per
    tutto equivalente all'inglese intelligence. Per noi "intelligenza" significa
    "spiccata intelligenza" e "intelligente" significa "spiccatamente intelligente".
    L'inglese intelligence è invece una vox media che designa
    semplicemente la capacità di comprendere di un individuo o di una macchina
    e che può essere scarsa, media o grande. Gli anglosassoni hanno un Intelligence
    Service, una Central Intelligence Agency e un' Artificial Intelligence. Noi non
    potremmo mai avere un Servizio d'Intelligenza, specialmente affidato a certi burocrati.
    Occorre tenere conto di questo scarto semantico quando si legge un testo
    inglese, anche tradotto.


    Definizione. Che cos'è l'intelligenza? Anche senza aspirare al rigore,
    se ne possono dare molte definizioni diverse. Una di quelle che prediligo è: la
    capacità di vedere connessioni e legami significativi tra cose diverse, anche molto
    distanti fra di loro. Una conseguenza quasi immediata può essere la capacità di
    cogliere l'essenza di una situazione, reale o immaginaria, e vederne tutte le implicazioni.
    Questo può condurre tanto alla risoluzione di un problema quanto alla capacità
    di cavarsela egregiamente in certe circostanze della vita. Il problema può a sua
    volta essere stato individuato come tale da altri o può essere posto ex novo
    dall'individuo stesso. La persona di grande intelligenza risolve brillantemente
    i problemi che le vengono posti. Quella d'intelligenza eccezionale i problemi se li pone da sola.


    Molteplicità. Oggi è molto di moda parlare di intelligenze multiple piuttosto
    che di una sola intelligenza. Può essere. Personalmente preferirei parlare di forme
    diverse di intelligenza. Nella vita di tutti i giorni riconosco per esempio facilmente
    persone dotate di un'intelligenza prettamente analitica. Sono quelle che scompongono
    con molto rigore ogni situazione nelle sue componenti essenziali, come se si trattasse
    di un gioco di scacchi. Altre persone sono più portate a percepire gli aspetti significativi di una
    data situazione nella prospettiva di ricomporli poi in un quadro complessivo,trascurando
    magari qualche dettaglio. Alcune situazioni richiedono più un tipo di intelligenza, altre un altro.
    Una domanda aperta è poi se esista un'intelligenza pratica o situazionale e quale sia
    la componente cognitiva della scaltrezza.


    Relazione con altre facoltà mentali o caratteriali. L'intelligenza non può
    essere considerata una dote isolata anche se spesso non è correlata con il possesso
    di altre. Ad esempio non è memoria, ma una buona memoria aiuta. A questo proposito
    vale la pena di notare che di recente è stato rivalutato il contributo che la memoria e
    soprattutto la cosiddetta memoria a breve termine, o memoria operativa, di un individuo
    può dare alla sua intelligenza. Se una delle componenti salienti dell'intelligenza è la capacità
    di trovare connessioni fra cose diverse, è ragionevole pensare che questa capacità possa
    anche essere funzione del numero di cose che si possono effettivamente comparare fra
    di loro perché presenti alla nostra mente nello stesso istante.
    L'intelligenza non coincide neppure con la proprietà di linguaggio o con la capacità di
    esporre le cose con chiarezza, anche se si tratta di doti che vanno spesso di pari passo.
    L'intelligenza è indipendente dalla forza di volontà e dalla capacità di applicarsi, ma da
    queste può trarre un grande sostegno. L'intelligenza non coincide neppure necessariamente
    con l'originalità e la creatività, ma il possesso di doti come queste può condurre alla genialità,
    un'altra delle tante parole magiche del nostro quotidiano. Possiamo vedere la genialità
    come la creazione di nuovi e inusitati nessi. In quest'ottica essa può essere considerata
    come l'esaltazione di una dote ordinaria posseduta un po' da tutti oppure come l'espressione
    di una differenza qualitativa, una specie di salto quantico verso l'intuizione di nuove realtà.


    Natura e origine. Intelligenti si nasce o si diventa? Ovviamente l'una cosa e l'altra.
    Ogni nostra caratteristica fisica o psichica ha una componente ereditaria e una componente acquisita.
    Si tratta solo di determinare volta per volta quanta, e quale, è la componente ereditaria e quanta,
    e quale, è la componente acquisita durante le varie fasi della vita. Certo la grande intelligenza
    come le grandi doti atletiche richiedono una predisposizione congenita. Non si può diventare
    un Mennea, un Einstein o un Leopardi soltanto con lo studio, la volontà e l'applicazione,
    anche se è vero che non possiamo sapere quanti Mennea, Einstein o Leopardi ci sono stati
    in giro senza che noi li abbiamo notati perché non hanno avuto l'opportunità di rivelarsi.
    Se è vero d'altra parte che ci deve essere una certa componente genetica dell'intelligenza,
    è anche vero che questa non può essere articolata né su un gene, né su due, né su un
    numero ristretto di "geni dell'intelligenza". Non è possibile che esistano i geni dell'intelligenza più
    di quanto possano esistere i geni della vita. Esistono però geni che esercitano, per così dire,
    un diritto di veto sull'intelligenza stessa, come del resto sulla vita, e se alcuni di questi non
    fanno il loro dovere sono guai seri.
    Si continuerà insomma ancora a lungo a parlare dell'intelligenza e della sua misura.
    Speriamo lo si faccia sempre con intelligenza e soprattutto con misura.


    Edoardo Boncinelli

    Edited by silverback - 8/3/2005, 03:22
     
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  12. silverback
     
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    Questo è un altro studio in cui si tratta il tema delle Naturali Differenze di Genere:
    LEHRKE R., Sex Linkage of Intelligence.
    The X-Factor
    , Praeger, Westport, Connecticut, 1997.
     
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  13. lelen
     
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    Condivido quanto postato da Goblin (molto interessante!) e anche se il Movimento di liberazione femminile, per reazione, inizialmente ha propagato alcune idee che col senno di poi appaiono certamente assurde, di strada da allara se ne é fatta un bel po' e sono poche le femministe oggi che considerano l'uguaglianza (altra cosa é la parità!) una conquista.
    Femminste a parte, credo e spero che siano poche le persone oggi a credere che non vi siano differenze oltre quelle biologiche, anche se di fatto nella nostra società tutto si complica poiché vi é in atto una mascolinizzazione della donna (nonché una femminilizzione dell'uomo); condizione che porta anche a far sì che ci siano matrimoni misti dove lei appartiene a culture dove la donna ha mantenuto una certa grazia (oltre alla sottomissione) e lui proviene da zone dove il maschile é ancora presente ( machismo a parte).
    Per me, differenze individuali a parte, é evidente come il sole che siamo diversi e complementari,
    anche se a volte é difficile capire cosa questo significhi realmente e come si esplichi anche nel vissuto quotidiano.

    La società industrializzata che ci vorrebbe tutti quanti solerti robot, ci ha dato maggiore libertà ma al contempo ci ha confuso.

    Se osserviamo la natura é facile capire come maschi e femmine siano stati dotati di strumenti e capacità differenti per far sì che la specie umana o animale che sia, continui il suo corso. Tra gli animali ( ma avolte anhc tra gli umani) vediamo ad esempio che spesso il ruolo maschile nella procreazione si esaurisce al solo concepimento.
    Mentre questo é assolutamente impossibile per le femmine di ogni specie! Non é poco!
    L'empatia di cui tanto si parla oggi, é sicuramente un dato essenziale indispensabile alla sopravvivenza della specie (e con questo non voglio dire che le caratteristiche maschili non siano siano necessarie, anzi):
    il neonato non parla, ha bisogno di essere accudito e la madre deve decifrare lo stato d'animo, i malesseri e dunque é dotata di una specie di radar per captare anche quello che non può essere detto.
    Ovviamente non sto dicendo che siamo dotate di sonar come i delfini.
    Ma credo che il modo differente di vivere la genitorialità e lo stare in gruppo, insomma le diverse funzioni con le quali cui volenti o nolenti ci ritroviamo a dover fare i conti in quanto maschi o femmine. siano determinanti.
    Oggi viviamo sempre più isolati e le donne partoriscono sempre meno, quindi magari è lecito pensare che tra qualche secolo le cose cambieranno? Le modificazioni genetiche sono in agguato!
    E sono sempre più convinta che più l'umanità si allontana dalla natura, più guai ci sarannno. Ma questa é una mia personale convinzione.


     
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  14. Paolo S.
     
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    Mah, sara', ma io tutta questa empatia femminile non la vedo proprio.
    Anzi, per quanto mi riguarda ritengo di essere molto piu' empatico di tantissime donne.
    Ma chissa', e' possibile che io faccia parte di una minoranza...(mah...).
    Pero', qualora fossero vere certe teorie, credo proprio che bisognerebbe iniziare a dire che le violenze e i delitti delle donne sono MOLTO piu' gravi di quelle/i maschili...
    Soprattutto nel caso delle madri che ammazzano i propri figli...(anche se e' "risaputo" che in quel caso si tratta di "depressione"...): o no?

    Edited by Paolo S. - 8/3/2005, 11:05
     
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  15. tyrtix
     
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    Lelen, purtroppo quanto hai scritto è vero solo per i mammiferi: la stragrande maggioranza dei rettili, specie quelli che partoriscono prole viva, abbandonano i cuccioli a sè stessi, mentre gli insetti spesso delegano le cure parentali al maschio.
    Quello che hai detto è tuttavia abbastanza vero per l'essere umano, dove anche i due generi hano particolarissime specializzazioni all'interno della società, non basate esclusivamente su un fatto di genere.
     
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65 replies since 6/3/2005, 12:55   4390 views
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